«Ciao, sono Stefano Trovati, vivo a Milano da trent’anni. La città è perfetta per fotografare eventi di moda e design, quelli che sono diventati negli anni il DNA della capitale mondiale di questi due vasti settori.
Perché mai fotografare un evento? Semplicemente se ne consacra il luogo e il momento. Questo ha fatto sì che Milano diventasse un luogo deputato alla moda e al design dei brand del lusso, un fatto che tutto il mondo ci invidia. Un evento non è una cosa che accade e noi ci inciampiamo per caso uscendo di casa. L'evento è organizzato e pubblicizzato; deve essere importante, deve avere un tempo e un luogo speciali. Gli eventi che fotografo a Milano sono saturi di dettagli che vanno memorizzati ed esaltati. Non solo abiti e mise en place, ma anche i movimenti provocati dalla musica nei personaggi, e i loro stati d’animo.
Negli eventi che fotografo a Milano, tutto deve essere al top, dal catering al DJ. Le maestranze coinvolte per un evento, e le persone che vi ruotano attorno, devono sempre alzare l'asticella dello stile e della qualità. È un meccanismo a crescere, sempre: una follia insostenibile, ma è la bella follia di Milano.»
Taccuino antropologico di Alberto Salza
Parole di Henri Cartier-Bresson: «È così difficile guardare. Abbiamo l’abitudine di pensare, più o meno bene; ma non si insegna alla gente a vedere». Nel tempo dei social e dei miliardi di fotografie in rete, si fa arduo lo sguardo sull’orizzonte degli eventi, quello che la fisica definisce come la superficie limite oltre la quale nessun evento può influenzare un osservatore esterno. Un evento è di per sé temporaneo, effimero. La fotografia al suo interno è di per sé un elogio dell’impermanenza, come fosse fatta di haiku giapponesi sulla caducità dei fiori di ciliegio. Un bavero, un orlo, un lampadario, un cameriere, un vip, niente sembra più vero la sera dopo. Ribadiva il concetto Richard Avedon: «In fotografia non esiste inesattezza. Tutte le foto sono esatte. Ma nessuna di esse è la verità».