«Sono Andrea Berton, chef e proprietario del ristorante Berton a Milano. Per me, fare questo mestiere significa regalare momenti di piacere e felicità attraverso il cibo, offrendo esperienze che lasciano il segno. Ogni piatto che creo nasce da un’idea, un concetto che prima deve emozionare me e il mio team. Solo così possiamo trasmettere quell'emozione agli ospiti. Il momento più gratificante del mio lavoro è vedere la gioia riflessa nei loro volti. È in quel preciso istante che capisco di fare uno dei mestieri più belli del mondo.
Milano è spesso associata a bellezze effimere come la moda, la lirica e, naturalmente, il cibo. Pur essendo arte destinata a svanire, il cibo ha una nobiltà unica: è un bisogno primario, ma può trasformarsi in qualcosa di straordinario quando viene valorizzato e innovato. Mangiare è una necessità, certo, ma quando il cibo è buono, bello e sorprendente, diventa un’esperienza capace di migliorare la nostra giornata.
Anche se sembra sfuggente, il cibo in realtà lascia una traccia indelebile: il ricordo di ciò che hai mangiato. Le sensazioni generate dalla mia cucina, in realtà devono divenire un bel ricordo. Meglio: un buon ricordo.»
Taccuino antropologico di Alberto Salza
Il cibo soddisfa il budget energetico degli esseri umani. Però, a Milano come nel deserto del Kalahari, conta anche il piacere. Durante la mia permanenza tra i boscimani, l’informatrice N//isa gerarchizzava animali e piante commestibili in 14 categorie di appetibilità decrescente, dal maiale selvatico alle larve. La tavola non è un tavolo: è uno spazio pubblico di rappresentazione fisica e culturale, un assemblaggio di relazioni («passami il sale», sostanza un tempo preziosa). La tavola del futuro si baserà sul cibo quantico: complesso e non pulviscolare; biotecnologico e non “naturale”; adattivo e non “tradizionale”; incerto e non garantito; probabilistico e non determinato per decreto legge. Buono, magari.